Viandante sul mare di nebbia: faccia a spalla con un’icona pop

  • Febbraio 19, 2020
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Al centro della composizione, in primo piano, un viandante solitario si staglia in controluce su un precipizio roccioso, dando la schiena all’osservatore: ha i capelli rossi e scompigliati al vento, è avvolto in un soprabito verde scuro e nella mano destra, appoggiata al fianco, impugna un bastone da passeggio.È lui il vero centro focale e spirituale del dipinto: ciò malgrado, ben poco si sa su quest’uomo, a parte la sua natura errabonda e introversa. 

Quando avevo circa vent’anni, all’università ho stretto delle amicizie molto importanti che durano ancora oggi, tra cui quella con Roberto. I rapporti che intrecci dai 20 in su sono più solidi di quelli che fai da ragazzino: ti legano affinità elettive.

Roberto è un grande appassionato della, uhm, Germania (un giro di parole per dire che è sempre stato un filo filo fascista), e mi fece conoscere il dipinto simbolo del Romanticismo Viandante sul mare di Nebbia di Caspar David Friedrich. Da quando esiste Internet, Roberto lo ha riprodotto spesso come avatar dei suoi vari profili online, un po’ come quando io all’asilo avevo la palla cucita sull’asciugamano, le mutande di scorta etc. (lo so: un oggetto, un destino).

Grazie al mio amico, nel tempo per me il Viandante è diventato quasi un’icona pop nel mio pantheon artistico, da vedere prima o dopo nella vita, al pari della Gioconda e delle tombe di Jim Morrison e Oscar Wilde al Père-Lachaise a Parigi o della stele di Rosetta e della tomba di Karl Marx al cimitero di Highgate a Londra (si, chiamatemi Lara Croft…)

Fino allo scorso weekend, del Viandante sul mare di nebbia non sapevo, tranne il nome e che cosa raffigurasse, granché, soprattutto dove si collocasse.

Milo e io ci siamo regalati un weekend di San Valentino e siamo volati ad Amburgo. Abbiamo tenuto il programma vago, come predica Severgnini, anche in correlazione al tempo atmosferico che avrebbe fatto. Ma, una volta sbarcati in aeroporto, ho visto ovunque cartelloni che sponsorizzano il museo d’arte cittadino più importante, il Kunsthalle. Punta di diamante, manco a dirlo, il Viandante. Dovevo incontrarlo.

Domenica pioveva, così non abbiamo avuto scuse e ci siamo ficcati dentro alla Kunsthalle. Non mi pareva intelligente spendere 14 euro di biglietto solo per vedere l’oggetto del mio desiderio, anche se ammetto che ero tentato. C’erano delle mostre temporanee in allestimento, così prima di arrivare al Viandante l’abbiamo presa larga, un po’ come quando ti scarichi la nuova stagione della tua serie TV preferita ma aspetti fino a sera per guardarla, intanto sai che c’è, ti culli al pensiero di esserne in possesso, e ti godi l’attesa.

Quando finalmente siamo arrivati alla sala del Romanticismo e con la coda dell’occhio l’ho visto, ho deciso di avvicinarmi piano e ho cominciato a corteggiarlo da distante. Ho badato prima agli altri tutti intorno, come in un rito pagano mi sono inchinato ai ladroni ̶ i quadri a destra e sinistra ̶ e poi, finalmente, mi sono piazzato davanti all’oggetto del mio desiderio per rimirarlo, pronto da un momento all’altro ad essere colto dalla sindrome di Stendhal, anche se lui non era accogliente: mi dava le spalle, perso nei suoi pensieri.

Allora ho immaginato di essere io il viandante, perso nei miei mille pensieri, nei miei vorrei ma non posso che poi forse sono potrei ma non voglio, nei miei mille progetti tutti sempre sull’orlo dell’attuazione, tutti perfetti nel mio iperuranio platonico, mentre io ci viaggio intorno, li accarezzo, li scruto, li corteggio, perduto nel mio personalissimo mare di nebbia.

Quando ero piccolo mio fratello Francesco diceva che avevo la zucca vuota, cioè faceva proprio un commento lombrosiano: parlava della conformazione della testa, commentando che ce l’ho un po’ piatta dietro, come una pista da sci, “a mo’ di statuetta dell’Oscar”. Ovviamente bastava quest’ultima precisazione per rendermelo un complimento. 

Un po’ alla volta mi sono perso dentro al dipinto, ho pensato che mi ci avrebbero trovato intrappolato dentro, novello Dorian Gray ma con la testa da Academy Award, e che avrebbero ritrovato il mio doppio davanti, perennemente giovane e col vestito alla marinara, sempre a un passo dal trasformarmi in Creamy.

“Andiamo che ho fame?”: poi è arrivato Milo a destarmi dall’incantesimo, strappandomi alle mie fantasticherie.

Lo riconobbero solo dai (non) capelli.