Evviva il multitasking? La vita è troppo corta per fare una cosa sola

  • Gennaio 16, 2020
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La vita dura 20 minuti

Emma, il mio primo capo

If I focus on just one thing, I won’t grow

Beatrice Blue

Voglio fare l’eremita in montagna, ma col wifi

Ettore, collega

Sceneggiatore, regista, scrittore, illustratore, fumettista, podcaster, you name it: vorrei fare tutto!

Sono sempre stato multitasking? Diciamo che, se alla soglia dei 42 anni non ho ancora ben deciso cosa voglio fare nella vita, forse un motivo ci sarà. 

Succede in genere questo, non so se è segno di poca personalità:

  • notoriamente non ho un debole per gli animali, ma portami allo zoo e divento il Dottor Dolittle;
  • guardo Project Runway e voglio fare lo stilista;
  • c’è Masterchef in TV e sono già ai fornelli ad attendere che fiocchino stelle;
  • se vedo un film devo fare il regista;
  • vado al balletto: sono già alla sbarra come nuovo Roberto Bolle;
  • sono andato a vedere la mostra su Gio Ponti al MAXXI di Roma durante le vacanze di Natale, e il giorno dopo volevo iscrivermi ad architettura…

Insomma, so che ho reso l’idea. Del resto, se anche lei fa tutto

Proprio perché tempus fugit e anche se la mia escape coach disapprova (“Sì però, Carlo… basta co’sti workshop!”), lo scorso weekend mi sono regalato, per il mio compleanno imminente, un seminario intensivo di – udite udite – libri per bambini: venerdì, sabato e domenica, per un totale di 18 ore.

Marie Kondo nel Magico potere del riordino sostiene che tra tutte le maglie a triangolo che pieghi e i panni che butti via perchè non ti emozionano più, terrai solo le cose che sono care al tuo cuore: spesso, oggetti legati a vecchie passioni che avevi sopito. Con me è successo per pennelli e colori, in cui ai tempi dell’asilo ero una forza.

Per questo da un po’ cerco di dedicare tempo alla mia passione per il disegno, che è in continua evoluzione.

I children’s books da qualche anno hanno avuto un boom, complici il caro vecchio PC e le nuove tecniche digitali. Io ho due idee in merito per altrettante storie da sviluppare.

C’è un centro artistico molto carino che frequento. L’ospite di questa settimana era Beatrice Blue, che scrive e illustra libri per bambini, fa la character design per una serie animata Dreamworks, disegna libri di altri e tanto altro.

La cosa che mi ha sorpreso, appena arrivato al corso, non è stato tanto vedere che ero l’unico uomo (quello me lo aspettavo), ma che quasi tutte le avventrici erano già illustratrici di libri per bambini affermate a modo loro, o artiste, o lavoratrici nel mondo del disegno.

Mi è piaciuto questo spirito comune di formazione continua, di mettersi in gioco sempre, di non considerarsi mai arrivati, di continua evoluzione, di autocoltivazione, compresa la titolare dello studio, anche lei sui “banchi di scuola”, come tutti noi (dovrei scrivere tutte noi perché eravamo a maggioranza femminile? Ho anche avuto un’esperienza di maschilismo automatica dentro me stesso: è arrivata una ragazza, ha detto che non sapeva bene come chiudere la bici, e qualcuno poteva mica aiutarla? Mi è venuto spontaneo farmi avanti io perché… ero l’unico uomo! Tranne che non avrei saputo da dove partire a chiudere la catena! Per fortuna nessuno si è accorto della mia mossa maschilista! Amadeus sarebbe stato fiero di me?)

Beatrice ci ha deliziato spiegandoci che non è lei a scegliere i colori ma sono i colori a scegliere lei e in ogni caso, quando disegna, non cerca colori, ma sensazioni e mi e piaciuta ancor di più quando alla domanda su cosa preferisse – il digitale o le tecniche tradizionali, il libro o il cartone animato – ha risposto: “Perchè etichettarsi? È bello fare tutto! Oggi posso creare i miei personaggi con gli occhi da manga, ma chi mi impedisce un domani di farli con gli occhi a bottone? Il mio stile è in continua evoluzione, come me”.

Naturalmente, anche Beatrice non ama fare le cose su commissione che, nonostante siano sempre disegni, la annoiano, e impiega una vita a finire: sono i suoi progetti personali, come i libri per bambini che scrive e disegna da poco, che la appassionano, a farle perdere notti e giorni alla scrivania: è la passione che ci guida.

Anche lei, quindi, cerca di fare più spesso quello che le piace.

***

Quand’ero piccolo, c’è stato il momento dello sport rielaborato dai cartoni. Il giardino di casa si trasformava di volta in volta in campo da basket (Gigi la trottola), tennis (Jenny la tennista), golf (Tutti in campo con Lotti). A seconda del cartone in onda, un giorno ero Holly e poi Benji e lanciavo – e paravo – palloni per un pomeriggio intero contro il muro esterno. Rubando a piene mani dalla dualità del Barone Ashura di Mazinga Z (ma, per mio fratello Francesco e me, Barone Asciuga), che parlava contemporaneamente con voce maschile e femminile, ero sia Mila che Shiro e la pallavolo tutto ciò che volevo fare nella vita. Passavo quindi i pomeriggi e disegnare me con addosso le varie divise della mia squadra (tipo “la Torri” via via su fino in nazionale), fantasticando su come avrei perfezionato la goccia di ciclone di Mimì Ayuhara sempre, non si sa come mai, indossando pantamutande molto femminili e attillatissime.

Quando è arrivata Hilary armoniosa Hilary, la ginnastica ritmica ha preso il sopravvento sugli altri sport e tutti in casa giravano con le mutande sporche perché la carta igienica la stavo usando io in giardino per i miei esercizi col “nastro”.