Che la pace arrivi da chi non ce l’ha

  • Marzo 26, 2020
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“Senti, va bene Creamy a tutti i costi….ma ti ricordi questa?? 😍”, mi scrive un giorno il mio amico Alberto, faccetta e tutto, dopo aver ricevuto la mia newsletter, allegandomi il video qui sopra.

Guardo il telefono con aria di sfida.

Comincio a gonfiare il petto e scrivo una risposta di tipo 800 righe che naturalmente comincia con: Allora: con chi credi di avere a che fare?

Correva il 1990, e io ero matto solo per una cosa: no, ahinoi, non quella. Il frisé. Nulla di ciò che riguardasse il calcio o quell’altra roba mi poteva nemmeno lontanamente importare. Più o meno nello stesso periodo della mia vita in cui andavo a casa della mia vicina Marta a fare le trecce con la lacca ad una delle sue bambole e quando lei non c’era e sua mamma mi apriva dicendomi “Marta non c’è” e io le rispondevo: “Mmm, non importa, posso andare a vedere se sono venute le trecce?!” la scansavo e andavo in camera di Marta a vedere le trecce (non venivano mai; erano tempi di magra: in mancanza di un arricciacapelli di Barbie nei paraggi ci si arrangiava come si poteva) in tutto il mondo impazzava la lambada e in Italia Bella signora di Gianni Morandi, che aveva un verso che ogni volta che lo sentivo mi facevo il segno della croce e recitavo di fila 10 Aveomaria: Poi si spoglia nuda.

Dicevamo.

Ho una cugina, Francesca, mia compagna di “scorribande” in quelle che erano, chiaramente, le “passioni” dell’epoca: Carrà-Parisi-Cuccarini-D’Avena. Dico chiaramente perché io in realtà avevo il sentore recondito che tutte queste bambine si “spacciassero” fan delle quattro ma che non fossero veramente così appassionate come lo ero io, che non passassero pomeriggi interi in giardino a inscenare le loro personalissime versioni di Fantastico per un pubblico di peluche con addosso il vestito migliore della domenica, che non avessero, cioè, il fuoco sacro. Del canto e soprattutto della danza. Una situazione frustrante.

Avevo da poco compiuto 12 anni e Francesca 10. Insieme formavamo un duo di balletto che Lorella Cuccarini scansate. Mia cugina Maria, sorella di Francesca, il 31 marzo di quell’anno si sposava. Siccome era una delle prime cugine a farlo, in pratica le nozze erano tipo gli Oscar (io, per favore, sfoggiavo un gilet di velluto rosso con bottoni in pendant con mio fratello di anni 3 che per sua fortuna non ne ha ricordo). 

Al ricevimento, Francesca e io ci siamo esibiti sulla note di Noi vorremmo, con un lip sync degno del migliore Ru Paul, parenti stufi non tanto delle 700 portate, ma di noi che avevamo annunciato per mesi la nostra performance, con un hype che mi sa che la mamma mi deve aver dato qualche goccia per dormire la sera prima. A un certo punto, colpo di scena, quando la canzone recita: “che la pace arrivi da chi non ce l’ha”, tiravamo su il velo da quella che anche un cieco avrebbe riconosciuto essere una gabbia per uccelli, dentro la quale c’era una colomba bianca (simbolo, chiaramente, della pace), una roba che Magica Emi mi fa un baffo.

Non si sa dov’è andata a finire i suoi giorni scagazzando la colomba, ma la settimana prossima sono 30 anni da quel mitico evento (certo, il matrimonio – Auguri Maria e Manuel! – ma intendo un balletto che manco Don Lurio). 

Francesca ora ha 3 figli e ben altri pensieri (è lei quella che deve stare dietro alle lezioni da remoto persino di breakdance). Le ho chiesto il permesso di pubblicare la foto qui sopra, dopo che per settimane l’ho stressata per farmela mandare, e mi ha risposto: “Temevo questa domanda. Ma certo, non rinnego nulla… Come dico quando getto la spugna coi miei figli: fa’ quello che vuoi. Magari qualcuno ci chiama!”. Le ho detto che sinceramente non ricordavo molto di aver fatto grandi prove, né che tipo di mosse avessimo ideato – non ho mai fatto sport in vita mia, non credo mi venisse la spaccata. Francesca ha questa teoria: “Mi ricordo che abbiamo provato un po’ nel cortile di casa mia, tipo in due o tre volte abbiamo fatto tutto”.

E chissà perché avessimo scelto quella canzone, con un messaggio pacifista tipico di tutta la discografia della D’Avena, che con delle nozze non c’entrava nulla. Poveri parenti che si dovevano sorbire  a ogni raduno – perché mica c’era stato solo quello di balletto: uh, se il mio videoregistratore potesse parlare! – ‘sti Brian & Garrison in miniatura per tre minuti buoni!

Tutto questo per rispondere ad Alberto: certo, la so a memoria. Ancora oggi. 

Ancora oggi che – cronaca del 26 marzo 2020 – con la mia amica Samantha, quella che mi smercia tutti i meme sugli anni ’80, ci mandiamo vocali con le canzoni dei Bee Hive. Sua figlia ha fatto il primo esame all’università (da remoto) e ha preso 30 e lode: per dirvi il nostro grado di vecchiaia. 

Ancora oggi che salgo le scale e ansimo imitando la Cuccarini per tre ore quando finiva i balletti e mimo a Milo il gesto di togliermi dalla bocca come faceva lei un capello lungo che non ho mentre lui mi guarda con la faccia che dice: “Ma dove l’ho trovato questo?!”.

Ancora oggi che il balletto sulle note di Noi vorremmo del 31 marzo 1990 è – era – uno dei miei segreti meglio custoditi insieme a quella volta, l’anno dopo, in cui in piena Guerra del Golfo mentre lei dal palco piangeva per gli animali che bruciavano nel Kuwait (?!), sono svenuto al mio primo e unico concerto di Cristina D’Avena sotto gli occhi di Francesca e io in fondo, una volta rinsavito, ero contento perché speravo che Lei venisse a vedere come stavo!

Ma questa, come si dice, è un’altra storia.