THE WEDDING

  • Luglio 1, 2010



















Come sapete, da venerdì 25 a domenica 27 giugno sono stato, con cugini, cugina, zie e zio, al matrimonio di mio cugino Andrea e di Susan nel New Jersey. Susan è originaria di Mountain Lakes, nell’entroterra dello “Stato giardino”. Ho rivisto così un’America che già avevo conosciuto nel ’98, fatta di bandiere in ogni dove (anche in chiesa!), enormi S.U.V., tanto verde, appunto, casette a listarelle di legno, strade a 8 corsie, spazi infiniti.

I parenti (non c’era però nessuno della mia famiglia stretta) erano “appostati” là già da mercoledì. Io li ho visti (vedi post precedente) qui a New York già giovedì e poi li ho raggiunti, con un autobus, alla volta di venerdì, per una cena di anticipazione della cerimonia del giorno dopo. Ho così scoperto, quel giorno, che sarei stato, durante la celebrazione, un usher, cioé l’equivalente maschile delle damigelle d’onore, assieme agli altri miei 3 cugini maschi presenti, con compiti generici di smistamento folla in arrivo.

Venerdì sera abbiamo quindi conosciuto parenti e amici americani, molto simpatici e contenti di avere ospiti italiani, e vissuto un’atmosfera tipica di queste ricorrenze, un calore familiare di celebrazione autentica (della vita, dell’amore, dello semplice stare insieme), che mi mancava: sono stato molto contento di vedere, toccare, sentire, abbracciare, persone a me vicine e conosciute. Con le quali, va precisato, sto trascorrendo questa settimana che mi tiene lontanto dal pc (e quindi, dal blog), dato che si sono fermate a visitare la Grande Mela.

Durante la serata la sorella e testimone della sposa ha illustrato, tramite vecchie foto molto commoventi degli sposi piccoli (in una c’ero anch’io, con mio fratello Francesco, sullo sfondo a sinistra!), la loro storia personale e il loro incontro.

Il giorno dopo, sabato, da buoni italiani abbiamo guidato un’ora (io sono stato buttato giù dal letto in albergo dalla cugina Giovanna) e più per stare 18 minuti di orologio in un enorme centro commerciale (sia mai che torniamo in Italia senza dire: “El ga costà pochissimo, soeo tot dollari!”): il New Jersey, infatti, per alcune categorie merceologiche, tra cui, appunto, vestiti, è un porto franco.

Tornati, sono riuscito a farmi fermare dalla polizia per eccesso di velocità in un tragitto di mezzo miglio, guidando un’auto che non avrei potuto guidare dato che il noleggio non era intestato a me, ma ad uno dei cugini (lo so, tutta ‘sta storia dei cugini, della contea, di Roscoe che mi insegue, delle macchine e dell’America rurale, fa tanto deja vu, e ve lo svelo subito: Hazzard).
Andavo, ovviamente, per i nostri standard, ai due allora. Per fortuna mi hanno lasciato andare dopo poco senza problemi (“Ma voi ce li avete i limiti di velocità in Italia?” MA VA??!!) nonostante fossi sceso dalla macchina appena loro mi avevano fermato (“Stai nella macchina come ti ho detto di fare!!!”: tutti quelli a cui l’ho raccontato mi hanno detto che sono fortunato a non essere ancora in galera per non aver rispettato questa regola basica a me evidentemente non nota).
La fretta accumulatasi ulteriormente non mi ha impedito di rasarmi al volo e di sporcare poi da pirla il colletto della camicia…

La cerimonia, svoltasi nella Chiesa della Nostra Signora del Perpetuo Aiuto (Suor Maria Claretta, dove sei???), della fine dell’800, un misto di stili con: bandiera, foto di Benedetto XVI che a noi mai verrebbe in mente di mettere (come, del resto, una foto di Napolitano in tutti i municipi d’Italia) e la versione locale de La Voce dei Berici, ha prima visto l’arrivo in ritardo della kilometrica limousine con sposa e damigione (ehm… elle…) perché nella prima che si era presentata mancava l’aria condizionata (e noi in effetti, digiuni dalla mattina, tra caldo e umidità e cravatte aguzzine stavamo svenendo in massa, che manco Big Domino Rally) e poi la messa in scena di un intricatissimo cerimoniale di coordinamento tra damigelle, usher, madri degli sposi, e, in ultimo, finalmente, l’arrivo della sposa.

Bellissima, raggiante, e, devo dire, simpatica, brillante, accogliente, solare, e molto gentile. Molto contenta di averci lì, come soprattutto, il nostro capo cugino (il primo, cioé, della mia famiglia materna), mai cambiato nei secoli, ancora con il dito gesticolante come quando era un valdagnotto dalla parlata pesante anche ora che parla invece un perfetto inglese, i capelli da cicciobello-Vittoriocecchigori, pronto a insegnare la parola madre di tutte (“cesso”) alla sua sposa…

Il ricevimento successivo (a cui siamo approdati dopo gita su scuolabus giallo di Sandrino e Zigo Zago – purtroppo non è scattato “Azzurro” come speravo, avevo già la macchinetta pronta per filmato, e le Travelgum in mano), si è svolto, tra interminabili conversazioni da sostenere in inglese, cugini più o meno ubriachi ancora dalla sera prima, zie Anastasia e Genoveffa dagli inimitabili mosse ballerine, discorsi tradotti a metà, e menù very American, in un delizioso club in riva a uno dei laghetti da cui prende il nome la località, bianco e di legno, in un clima contagioso di spontaneità, divertimento, festa e Sex on the Beach (naturalmente mi riferisco al cocktail rosa, fattomi scoprire dalla cugina Giovanna, poi ovviamente finito per metà sulla mia cravatta).

Come ormai tradizione di famiglia vuole (ormai finita, augurandoci naturalmente che entrambi i fratelli abbiano un solo, lunghissimo e felice matrimonio) Andrea e Susan, come già la sorella di Andrea prima (assente perché neomamma all’altro capo del mondo, e la saluto perché è uno dei 6 sostenitori del blog), hanno perso l’aereo che li avrebbe portati in viaggio di nozze (ne hanno poi preso uno il giorno successivo).

W gli sposi!

P.S.: No, purtroppo, ahimé, nessuna scena di qualcuna attaccata alla statua di ghiaccio con la lingua, nemmeno la cugina Giovanna!

Blog Comments

Ahahahahaahhhh! Fantastico Dalsa! Cacchio, già mi ti immaginavo in quel programma di M-tv di cui non sono riuscito a recuperare il titolo – tipo busted, o roba del genere, ma potrebbe essere anche tutt'altro – in cui i classici poliziotti americani tutti massicci e incazzati arrestano e fanno lavate di capo agli adolescenti beccati con un milligrammo di cannabis, una birra, a pisciare su per i muri, a tenere il volume alto alle feste… e li trattano come se fossero Osama Bin Laden! Mitici!

Mitico il New Jersey! devi assolutamente andare a Freehold e farmi un sacco di foto. E' la città natale di Bruce Springsteen, meta sognata e agognata di un mio futuro spero viaggio negli Stati Uniti (vabbè NJ e Miami, ma mi vojo vedare casa del Boss!). Tanto per capirsi, consiglio la lettura del libro di Nick Hornby "Tutta un'altra musica". Ti mando via mail i dettagli di un ipotetico viaggio sulle orme del Boss…

No vabbè Carlo, con la citazione dello spot Travelgum anni '90 hai superato te stesso! Sei un mito!

…mi piace molto la foto del tuo mento-collo anche se è stata fatta con "trasporto" tutt'altro che artistico mi pare di capire:-)…e la foto banda amigini (incrocio tra amici e cugini) vicino all'auto d'epoca…un'intramontabile direi!!!
ciaoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

ciao Carlo, mi sono appena fatto una full immersion sul tuo blog: dai, dimmi la verità tu non stai visitando nulla, passi tutto il tempo a scrivere e commentare !!!!
Il momento più bello e appassionante è stato sicuramente la visione dei filmatini con la tua accattivantissima descrizione della casa, ho ancora i brividi 🙂
Chiedo scusa in anticipo per il nome e per l'immagine(prendila con ironia)che apparirà, ma uso blogger anche a scuola …
aspettiamo con ansia il racconto di nuove avventure!!