SOMEWHERE IN NORTH AMERICA / 001

  • Settembre 21, 2010
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Ondulex? Checked. Materasso coi nodi? Checked (non oso alzare il lenzuolo per vedere quanto vecchio sia effettivamente…). Il regno del calcare? Checked. Polvere che manco in uno spot Swiffer? Checked…

Una qualsiasi massaia italiana si rifiuterebbe di entrare, qui. O, meglio, un qualsiasi italiano.

Nella mia ricerca di una sistemazione di fortuna dopo i primi giorni passati in albergo, non sono stato in effetti così fortunato come con la casa di Michael a New York.
Ma almeno qui c’è il cable (sono arrivato durante la season premiere week americana, quindi sapete che per me è come una pera gigante per un eroinomane).
Tramite Internet, mi sono momentaneamente sistemato (e ho sistemato alla cieca anche Francesco, che arriva domani) alla periferia di Vancouver, in un paesaggio che potrebbe essere in qualsiasi parte del Nord America. Diciamo che è come se fossi, in proporzione a Vicenza, a Torri, anche perché l’attrattiva della zona è uno dei centri commerciali più grandi della British Columbia.

Il vibe che mi è subito arrivato, devo dire, però, è di “casa di Tonezza che qualsiasi delle zie mie o vostre ha avuto per un momento durante la metà degli anni ’80”: quella patina di polvere perenne e un odore di muffa/chiuso/bosco/mazza-di-tamburo che, anche dopo molti giorni con le finestre aperte stenta ad andarsene.

Altra reminiscenza: la mia stanza sembra quella di Anna dai capelli rossi (ma la casa non è il tettoverde e non c’è Marilla a farmi da mangiare), Lovely Sara o Pollyanna (nel cartone con la sigla polifonica), ma solo perché c’è un leggerissimo accenno di mansarditudine. Per il resto non mancano:

– scotch sul pavimento che tiene a terra i fili dell’elettricità,
– spifferi vari (soprattutto di notte, dato che non ci sono scuri – sto facendo la fortuna dei produttori di maschere oscuranti),
– insetti per la cui nomenclatura dovrei guardare un numero di Conoscere Insieme alla voce America del Nord (esatto: laddove troverei anche le gemelle tundra e taiga!),
– scalini che saltano,
– domopack usato come ornamento o copertura di tutto,
– un cassettone vecchio di cucina messo per terra e usato di traverso,
– e soprattutto devo giocare al limbo ogni volta che scendo le scale altrimenti sbatterei la testa (e Francesco è un dieci centimetri almeno più alto di me… Addio: mi ucciderà!).

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sta nella prateria in una fattoria modesta un po' cadente ma comoda accogliente… (ehm, volevamo dirti N. Carucci/A. Valeri Manera, e un po' di coerenza interna nel testo, soprattutto tra due versi contigui?) Comunque viva viva Dolce Dolce Dolce Kathy