SCOASSE NEWYORKESI SU D DI REPUBBLICA

  • Agosto 2, 2010
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Federico Rampini, nella sua rubrica settimanale di D di Repubblica “1450 Broadway”, ha scritto ieri, sabato 31 luglio, su un argomento da me già toccato (vedi qui):

NYC Manhattan trash: Chi smaltisce i rifiuti della città senza raccolta differenziata? I cinesi. Invisibili.

Manhattan deve ancora scoprire la raccolta differenziata dei rifiuti. Perlopiù si butta tutto in un sacco unico: una vergogna. Ma, a questa inciviltà dei newyorchesi, rispondono delle microiniziative, comportamenti spontanei che s’infilano negli interstizi della metropoli. Come i topi, gli scarafaggi e le formiche, un popolo semi-invisibile di cinesi gestisce in proprio una forma di raccolta differenziata. Non uso quel paragone animale con tono spregiativo. In inglese le due categorie vengono unificate in una parola sola: “scavenger”. Che vuol dire colui che raccoglie i rifiuti (spazzino, netturbino) ma anche qualsiasi animale o organismo vivente che si nutre di cadaveri, tessuti in decomposizione (come appunto batteri, scarafaggi, avvoltoi, iene, procioni e certi roditori). Questa confusione semiologica la dice lunga sul rapporto nevrotico che abbiamo con le nostre scorie. A Manhattan gli addetti alla raccolta differenziata “spontanea” sono effettivamente invisibili, o si rendono tali, proprio come i topi che vedo correre lungo i binari del metrò, o i bacherozzi che infestano i materassi di mezza città. Solo dopo il tramonto, o alle prime luci dell’alba, entra in azione quest’armata discreta di piccoli cinesi. Omini minuti, che sembrano appena sbarcati dalle campagne dello Sichuan, e parlano solo il dialetto della loro regione, vagano per la città di notte frugando nelle pattumiere pubbliche. Non sono dei vagabondi, non sono homeless a caccia di qualcosa da mangiare. Cercano una cosa sola: lattine e bottiglie, che abbondano soprattutto nelle vicinanze di cinema e teatri. Esiste infatti un premio di un centesimo per ogni contenitore di liquido che viene restituito. Per l’americano medio è un incentivo troppo modesto, non basta un centesimo per togliergli il pigro vizio di buttar via la bottiglia. Veri seguaci dell’economia di mercato, entrano in azione i cinesi per supplire alla mancanza di coscienza ambientale della popolazione locale. Dopo ore di lavoro, nel cuore della notte il loro bottino si fa sempre più cospicuo. Vedo questi esseri minuscoli muoversi, come le formiche, trasportando fardelli molto più grossi di loro: immensi sacchi di plastica con dentro un ammasso di lattine e bottiglie. Mi ricordano i contadini della Cina povera, donne e uomini che ancora oggi, come bestie da soma, si caricano sulla schiena dei pesi immani. Un altro mestiere che a Manhattan vedo in mano agli asiatici, si svolge al mattino prestissimo: dai fiorai di Chinatown, di Soho e del Village, ragazze cinesi con le loro dita delicate “ripuliscono” i mazzi di fiori della sera prima, spulciando via i petali appassiti. I fiori tornano come freschi, li si può rimettere in vendita invece di doverli buttare via troppo presto: ecco un altro spreco evitato grazie all’intervento oculato e preciso dei cinesi, in mezzo allo spreco indifferente di New York.
Il rapporto con i rifiuti è un indicatore cruciale per capire l’essere umano, i popoli, la cultura delle varie civiltà. Noi occidentali ci scandalizziamo perché in India il contatto con le latrine è riservato alla casta più disprezzata, gli intoccabili. Ma quante volte a noi è capitato, quasi per un automatismo, di evitare lo sguardo dell’addetto alle pulizie di una toilette pubblica? A New York il dipartimento municipale della nettezza urbana ha alle sue dipendente una nota antropologa, Robin Nagle, che da quell’osservatorio studia la nostra relazione, tormentata e nevrotica, con le scorie che produciamo quotidianamente. “Gli addetti alla raccolta della spazzatura – dice la Nagle – sono ignorati, la gente non li guarda, segretamente li disprezza, quasi che li odiasse perché ricordano l’esistenza di questa montagna di roba che noi stessi abbiamo scartato e buttato”. Robin Nagle è una donna colta, capace di condire le sue riflessioni sulla spazzatura con citazioni di Italo Calvino. “In fondo i netturbini sono i veri sacerdoti del consumismo, solo la loro esistenza garantisce che la nostra folle corsa verso l’uso delle cose materiali possa continuare. Immaginiamo d’essere costretti a tenerci quello che abbiamo, di non poter più buttare via nulla. E’ chiaro che si fermerebbe tutto”. I netturbini, senza saperlo, sono anche la nostra coscienza medica, psicologica: “Guardando nei sacchi della spazzatura potremmo imparare tante cose sulle nostre patologie, alimentari o sessuali. Non c’è nulla di più intimo del cassonetto davanti a casa”.