SCENT OF HOME

  • Settembre 28, 2010












I xe lìpeghi“, dice Mario dei porcini trovati nel giardino di casa, e li lascia lì.
Francesco, che pure ha origini napoletane e non parla dialetto, capisce cosa vuol dire ma io, che invece il dialetto lo parlo, ho dovuto venire fino in British Columbia per sentire per la prima volta questa parola, pronunciata da uno che, e chi sta meglio di lui?!, da 30 anni non vive più a Vicenza.

Mario e la moglie Anna si sono trasferiti nel 1980, con i figli già adolescenti, a Vancouver, dove si sono perfettamente integrati e dove nel frattempo sono diventati nonni. Hanno contribuito fortemente allo sviluppo di attività culturali presso la comunità italiana (vedasi la voce Anna Maria Zampieri Pan su Google, prego…) e ora vivono, col cane “Picco’eo”, poco fuori città, sulle rive del fiume Fraser, che scorre a pochi metri dal loro salotto.

Ci hanno invitato a pranzo domenica, e subito, appena entrati, tutto ci ricorda una casa “nostra”: delle nostre famiglie, di un nostro parente, di qualche zia, di qualche amico.
Non solo un arredamento caldo e familiare (pieno di gusto, sculture – la passione per l’arte è stata trasmessa ai figli, che sono tutti e tre artisti – regalo di amici, e cimeli trovati da Mario ai quattro lati del mondo) ma anche il profumo di arrosto (squisito), e di sapone alla lavanda nel bagno.
Mario ci è anche andato a prendere apposta un salmone sublime, saputo che ancora non lo avevamo provato.

Mi porge il Dizionario Etimologico della Lingua Veneta di Manlio Cortellazzo (che però non annovera lìpego tra le voci) e mi inquadra subito in macchina, appena salito, quando mi dà da reggere un altro fungo, un sanguinello (è arcinata la mia avversione ai funghi): “Vengo da una famiglia di fungaroli – dico io (ricordando interminabili camminate nei boschi di Passo Cereda con la zia Lucia o a Camposilvano con Marcellino, a fendere l’aria come cani segugi per sentire le brìse o ad esultare orgasmicamente per questo o quell’altro colore che spuntava nei prati umidi che mi bagnavano le calze) ma questa passione non mi ha mai contagiato…”.
Al che Mario, un millesimo di secondo dopo, guardando la strada dice tranquillo: “Se vede, da come che te’o tien in man!“.

I ricordi montanari sono alimentati, in quella giornata, dall’aria carica di umidità, e dal paesaggio simile all’Altopiano, coi pini alti, che incontriamo lungo la strada. In macchina Mario pronuncia anche la fatidica frase, di solito accostata alle nostre montagne: “D’estate qua se sta ben, xe caldo de giorno, ma de note te dormi sempre co ‘na covertina“.
Un cortocircuito mnemonico, poi, lo abbiamo quando l’arrosto viene tagliato con un Opinel gigante!

Tra una connessione e l’altra, un ricordo e l’altro, scopro che Anna ed io, in anni diversi, abbiamo entrambi lavorato all’ufficio stampa della Fiera di Vicenza (lei all’interno, io esternamente).

Anna e Mario, che si stanno prodigando affinché troviamo un lavoro, sono stati con noi deliziosi, ci hanno anche dato il resto dell’arrosto e del salmone, che è il nostro cibo da due giorni.

E nel salotto di casa loro, sentendomi come fossi nella mia, realizzo perché sto così bene (vino eccellente e pranzo luculliano a parte): guardo in su e li vedo lì che brillano, i cristalli del lampadario di Pollyanna, splendenti di luce.

P.S.: Lìpego = viscido, umido.
E quindi, capisco, non buono da mangiare, che “sa da freschìn“, concetto intramontabile, anche dopo trent’anni (e indicibile altrimenti), anche a queste latitudini.