LUNEDI – SABATO

  • Giugno 14, 2010














Non riesco ad aggiornare il blog come e quanto vorrei, principalmente per i soliti problemi di Internet, che condivido con Michael: quando lo usa lui non lo posso usare io e viceversa.

Allo stesso tempo, la ragione principale è che, pur mantenendo il mio proverbiale stato di catalessi perenne, sono stato anche io in qualche modo risucchiato nella spirale della città che non dorme mai, e capisco cosa volevano dire quelli che mi raccomandavano New York per la sua energia.

Della gente, delle cose, dei luoghi…

Più passano i giorni più accumulo stimoli, cose da vedere, pagine della guida letta, esperienze da provare.
E cose che non vedrò mai, semplicemente perché non c’è il tempo.

Non sento ancora la nostalgia di casa: Internet in questo aiuta moltissimo, e così gli sms. Devo dire però che stamattina ho avuto un attimo di smarrimento, quando dietro ad un grattacielo ho scambiato per un nanosecondo un altro grattacielo per Monte Berico, come quando ti appare dai palazzi del centro di Vicenza se vai verso la stazione, partendo dal centro.

No, era mattina e non avevo bevuto…

Lunedì scorso ho fatto la conoscenza di Maurizio e Gaia, due shoe designer italiani, amici padovani di amici vicentini, che attendevo di incontrare. Erano in città per partecipare ad una fiera. Sono stato con loro praticamente tutta la settimana; mi hanno aiutato a creare ulteriori contatti per lavoro.

Così mi è successo quello che mi succede quando vado a Parigi col Marais: per giorni non riesco ad uscirne, in un modo o nell’altro rimango imprigionato in quel quartiere, peraltro bellissimo, come se ci fosse una mega bolla gigante, tipo film dei Simpson, che mi impedisce di uscire da lì. Come succedeva quando abitavo a Vicenza, quando per giorni, se non per settimane, non uscivo dal centro.

Qui si tratta di Midtown: la zona al di sotto del parco, tra Park e la 7a Avenue, è stato il mio territorio di battuta per tutta la settimana, interrompendo per il momento la mia escursione fedele alla Lonely Planet.

Con Gaia in particolar modo, nei suoi momenti di pausa dal lavoro, sono andato parecchio a zonzo. Da buona turista italiana che visita per la prima volta New York, ha voluto vedere i department store (vince, abbiamo deciso, Barney’s), sono tornato su Top of the Rock con lei di giorno, anche se c’era un po’ di foschia, siamo stati affascinati dal Greenwich (si pronuncia Grènic!) Village dove abbiamo visto la casa rosa costruita da Julian Schnabel sopra un altro palazzo e le tipiche insegne dei cinema formate dalla composizione delle lettere, visto degli ebrei pregare e mangiare beati, come se nulla fuori dal loro mondo stesse in quel momento accadendo, pur trovandosi a Manhattan, nel giardino di una sinagoga, mangiato un hot dog su un pier guardando il New Jersey al di là dell’Hudson, ci siamo buttati nel casino di Soho, abbiamo accompaganto Justine, collega americana di Gaia, a far la spesa di verdure biologiche al farmers’ market di Union Square, dove tre sacchettini miseri di saporitissima erba di senape costano 30 dollari, cenato con Carlo e Giampaolo, due amici vicentini, al Meatpacking District

Sono tornato con lei a Central Park (la fontana di Bethesda è in riparazione) e soprattutto ieri sera, alle 7, dopo aver dato una donazione minima, abbiamo visitato il Metropolitan Museum (che avevo già visto nel ’98 con Serena) solo perché ci era stato raccomandato il tetto al tramonto da cui si gode di una vista mozzafiato su downtown e sul parco.
Ora: è effettivamente così, e da pollo avevo lasciato la macchinetta nello zaino al guardaroba (ma Gaia ha fatto le foto, e ha promesso di mandarmele), abbiamo bevuto probabilmente uno dei migliori aperitivi della nostra vita (lasciando giù un patrimonio!) non per l’alcol in sè o per la qualità, ma per la vista, il luogo, l’atmosfera, resa ancora più densa da un allestimento gigante tipo castello in bambù.
Però, dato che il nostro obiettivo era quello, il museo chiude alle 9 e dovevamo incontrarci con Justine a cena, abbiamo pressoché ignorato tipo mezza storia dell’arte mondiale che sta in quelle sale, che pur abbiamo dovuto attraversare per arrivare sul tetto e Gaia, che ha studiato arte, è andata avanti coi paraocchi per non cadere vittima della sindrome di Rubens.

Dopo cena abbiamo preso un taxi, ci siamo fatti portare appena al di là del ponte di Brooklyn passandoci sopra, per fotografare lo skyline (mia macchinetta – pollata number two – lasciata in albergo di Gaia e sua con batteria scarica – !!!) di downtown Manhattan in modo che lei, che è partita a malincuore stamattina ma carica di un’esperienza a suo dire indimenticabile, potesse in poche ore fare il pieno di emozioni.

Al nostro ritorno un tassista di origini italiane che ce l’aveva su con tutti, Obama, neri, portoricani, ci ha parlato della sua idea di aprire un canale su youtube per fare il tassista pazzo, dopo che dei ragazzi tedeschi lo avevano pagato per portarli di notte ad Harlem e avevano caricato il video su youtube.

Ho ovviamente controllato e c’è davvero!

Ciao Gaia e CIAO SANDRA PAGINA!!!