Da quando sono via dall’Italia ho capito che il mio inglese non è così molto buono come credevo (che è la casella che sbaffetto – come dice Pepper – sempre quando, sulle application form dei lavori mi si chiede il grado di conoscenza della lingua, scritta e parlata). Lo capisco davvero bene ma a parlare a volte faccio ancora fatica: pur essendo via da qualche mese non riesco ancora a tradurre in automatico la frase, specialmente alcune parole, e divento ancora più impacciato quando vedo che la persona con cui parlo non mi viene incontro nella comprensione di quello che voglio dire, specie se sono sotto pressione, o di fretta, come quando faccio il cameriere, e ho in mente la parola in italiano ma non riesco a ricordarmi come si dice in inglese.
Né mi è capitato ancora, come ad altri che si “immergono” in una nuova lingua, di sognare in inglese. Succedeva alle amiche che avevo al liceo che frequentavano il quarto anno delle superiori in America ed io, ad ascoltare i loro racconti, ero incantato.
Secondo me i motivi di questa differenza di reazione sociolinguistica sono principalmente due: 1) le mie amiche erano più giovani di quanto sia io adesso, e quindi più “ricettive”, 2) allora (anni ’90) partivi e non c’erano Internet (e quindi, oltre alla posta elettronica, anche pagine da leggere in italiano) o SMS che ti potessero collegare a casa così velocemente. Sentivi i tuoi una volta alla settimana al telefono fisso. Non c’erano italiani con te, ed eri costretto davvero a sciacquare i panni nel Mississipi.
Tutte queste cose ora invece non succedono più (o succedono eccome) ed è per questo che il mondo è global e che, per lo stesso motivo, al contrario, l’inglese viene imparato di più e più in fretta (siti Internet in inglese, serie tv e film in lingua, libri senza traduzione etc., tutte cose che hanno permesso a me di impararlo molto bene).
Nonostante ciò (in spite of this) Francesco ed io veniamo spesso e volentieri lodati per la nostra fluenza nella lingua. Noi ci guardiamo sempre con una faccia che dice: “Beh, minimo, viaggiamo e siamo voluti venire qui, dovremo pur saperlo, è normale, no?!” ma molti arrivano addirittura a chiederci: “Lo avete imparato a scuola??!!”.
Forse pensano che in Italia non si insegnino le lingue straniere, o hanno avuto un’altra esperienza con italiani d’America che parlano come ne Il Padrino o i Sopranos con le vocali di appoggio alla fine (What do you do-a?). La domanda, infatti, è ogni volta immediatamente successiva alla scoperta della nostra nazionalità, che a quanto pare non è indovinabile dalla cadenza, e lascia intravedere un sacco di punti interrogativi ed esclamativi.
Anche se rimane vero che l’americano e l’inglese sono due lingue abbastanza diverse, soprattutto per pronuncia (“Con gli americani abbiamo tutto in comune, tranne la lingua” ha scritto Oscar Wilde) personalmente ho notato alcune differenze anche con l’inglese del Canada. Oltre che nella pronuncia, ho sentito da subito usare qui forme ed espressioni che non avevo mai sentito usare o comunque poco (washroom – mai sentìo – per bagno e no worries invece che don’t worry). (1/Continua)
Blog Comments
Tommaso
Dicembre 1, 2010 at 10:21 am
Ciao!!! Alcuni dicono che non si finisce mai di imparare e credo sia proprio questo il caso. Secondo me non è una questione di conoscere bene o meno una lingua, ma come dicevano a scuola è una questione di vocabolario (cioè di numero di termini, più ne conosci più ti vien facile usarli e quindi "parlare"). C'è poi un secondo aspetto non meno importante che credo possa rientrare in quel che si dice dialetto, infatti, e questo vale soprattutto per alcune definizioni, le usanze e i costumi influenzano pesantemente la lingua e soprattutto i modi di dire.
Io se fossi in te non mi preoccuperei molto del fatto che il tuo inglese non sia così buono come pensavi, se poi ci aggiungi che a tutt'ora ti stupisci di quante cose puoi ancora imparare, beh allora forse anche tu sei ricettivo come le tue compagne di liceo!!!!
Anonimo
Dicembre 1, 2010 at 9:44 pm
tutto questo per dire che
by dalsino
Simone Faccin
Dicembre 1, 2010 at 10:08 pm
Forse è la cultura del lavoro che ci porta a fare questa riflessione. Banalmente si pensa spesso "…oddio! non sarò mai all'altezza di parlare come un inglese!…". Ma la cultura "dell'umano", delle persone e delle differenze che ci sono tra esse non ci fa dire o pensare così…in vita mia ho parlato molto più l'inglese con asiatici, africani ed europei che non con britannici, nordamericani o oceanici (che rispetto ai non-di-madrelingua-inglese sono in netta minoranza nel mondo…). E spesso non ero quello che lo parlava peggio. Ma il fatto è un altro: nessuno lo parla meglio o peggio, solamente in maniera differente. E ovviamente lo parliamo "peggio" di un madrelingua. Mi stupirei del contrario. D'altronde non è forse l'italiano l'idioma più apprezzato, ammirato e sognato nel mondo. E naturalmente il meno parlato. Perchè di difficile conoscenza ovviamente: se bene vuoi parlare, un po' devi soffrire, come fosse una trasposta bellezza culturale. E agli inglesi, agli americani & c. non va tanto di soffrir!