I AM TELEVISION

  • Novembre 27, 2010



Con il freddo di questi giorni mi sto ammalando.
L’altro giorno ho avvertito i sintomi del mal di gola: dato che non ho rimedi di nonne o zie tipo intrugli d’erbe miracolosi, mi è venuto in mente di alleviarla con la soluzione più semplice che la mia migliore amica (la televisione, non la Vanna) mi ha insegnato: il brodo di pollo.
In scatola, ovvio.
E’ un rimedio visto in centinaia di film e telefilm.
Non avevo mai comprato nessuna zuppa o minestra Campbell’s. E’ stata anche l’occasione per assaggiarlo. Buono. Lo vendono nelle scatole di tetrapak come fosse un succo.
Da piccolo ero famoso per preferire di gran lunga il sugo in scatola a quello fatto dalla mamma. Se una pietanza era fatta in casa, a parer mio, non aveva sapore: dov’era il gusto dei conservanti, dove la luce abbagliante dei coloranti??

Poi mi è venuto mal di testa, e allora non mi è parso vero di potermi prendere uno di quei pillolozzi giganti e multicolori, fatti di gelatina, che si trovano qui in Nordamerica, e che ti propongono tutti alla presenza del minimo sintomo di qualsiasi cosa. Mi sono sentito tanto Gina di Santa Barbara (la prima, Linda Gibboney, non la seconda, Robin Mattson… CIAO PEPPER!!!) quando era assuefatta ai painkillers all’epoca in cui aveva staccato la spina al respiratore di Channing (…) e li ingoiava con le movenze spastiche (un problema così ricorrente nelle soap, quello di dipendenza da antidolorifici, da fare compagnia a 1. perdita della memoria e 2. gemello/a cattivo/a nella classifica delle trame più abusate).

Può risultare penoso, ma molti dei miei ricordi e quasi tutto ciò che vivo, faccio o addirittura ho imparato, ha un riscontro in qualche scena vista dentro al piccolo schermo.

Giuro che in serata, durante la stessa giornata, casualmente, ho letto un passo emblematico di Memoria Polaroid, l’unico libro di Douglas Coupland (il mio scrittore preferito, cresciuto e vivente a Vancouver) che mi sono portato qui (è una raccolta di racconti che parlano anche di questa città).

Mi ha sorpeso non solo la coincidenza con quanto mi era appena successo (ma non me ne sono stupito poi più di tanto: era un classico caso di magia di Carlo…) ma anche la verità che conteneva.

Lo riporto per intero paro paro. Fa riflettere e non ha bisogno di ulteriori commenti: sono gli stessi miei pensieri stesi in parole, che poi è il motivo principale per cui, tra tutti, uno solo diventa il tuo scrittore preferito.

Parola al maestro:

Mi domando sinceramente se i ricordi siano tutti identici, o se alcuni siano “più importanti” di altri. Come molti altri della mia età, fin dal momento della nascita sono stato esposto a grandi quantità di informazioni e programmi di intrattenimento, tutto ben prodotto e di alto livello qualitativo. L’altro giorno ho rivisto uno spot pubblicitario della Shake’n’bake che non vedevo più da vent’anni, e in un lampo mi è tornato tutto quanto alla memoria come se lo avessi visto solo cinque minuti prima (un riflesso incondizionato degno di Pavlov che capita ovviamente anche a me, come quando scrivo TIGRE sul tabellone di Scarabeo e parto immediatamente a cantare Quel buon sapore di Emmenthal svizzero… n.d.r.). Per cui mi viene da pensare di avere la testa piena di tableaux consumistici sponsorizzati dalle multinazionali. Questi ricordi “altri”, totalmente commercializzati, li ho tutti in testa, in punti imprecisati, e direi che vale la pena di rifletterci seriamente.
Chissà come sarebbe stato vivere senza tutte queste immagini commerciali sepolte nella mente? Se fossi cresciuto nel passato, o in una cultura priva di mass media, come sarei? Sarei sempre “io”? Sarebbe diversa la mia “personalità”?
Secondo me l’accordo tacito che regna tra tutti noi in quanto esponenti di una certa cultura è che non dovremmo considerare vere le immagini commerciali che portiamo nella mente, che la vita vera è quella passata lontano dalla TV, dalle riviste e dai cinema. Ma presto il mondo sarà popolato di persone che non hanno mai visto un mondo senza TV e computer. A quel punto, continueremo ancora a sostenere lo stesso concetto di identità personale dell’epoca pretelevisiva? Non credo. Passa il tempo, e invece delle tute blu maoiste ci mettiamo i vestiti di Gap. E non cambia niente. Tutti viaggiamo per il mondo. Dire “qui” è ridicolo.
E c’è un altro particolare che abbiamo notato tutti: quando salta la corrente ci mettiamo a cantare, ma appena torna la luce torniamo a riatomizzarci.
Ho deciso di vivere come in un black-out permanente. Guardo gli schermi e le pagine patinate e non permetto loro di trasformarsi in ricordi.
Quando incontro qualcuno, lo immagino vivere in un mondo buio. Le uniche luci che contano sono quelle del sole, delle candele, del caminetto e quella che uno si porta dentro, e se a quel qualcuno ogni tanto io sembro bizzarro, è solo perché in quel momento stacco la corrente per cercare di aiutare lui e me, per vedere lui e me come le persone che siamo in realtà.

Proverò a mettere in pratica la teoria del black-out, lo giuro, ma non garantisco…

Blog Comments

sempre piu' bravo….. o sono le pillole e il brodo in scatola? (guarisci presto, che hai un appuntamento per oggi otto!)

ma il brodo di pollo nei telefilm, non lo portano i vicini di casa?ora che ti risposti i nuovi vicini vi accoglieranno con la apple pie e un bel benvenuto nel nostro quartiere…mhm no vero?!!

per sempre black out di douglas, dalsa!