Come ti disegno la propaganda

  • Novembre 28, 2019

Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento,
in polvere qui nel vento

Francesco Guccini, Auschwitz

“Molti non sanno che spetta all’Olanda il triste primato della più alta percentuale di vittime dell’Olocausto, perfino più della Germania” mi comunica uno dei commensali alla cena a cui stiamo partecipando, a casa di amici: “lo so perché mio nonno era ebreo ed è stato uno dei pochi sopravvissuti”.

Il dibattito si è acceso quando abbiamo raccontato, non senza esitazioni, che qualche giorno prima siamo stati nel Brabante del Nord a ‘s-Hertogenbosch, detta più comunemente Den Bosch (il bosco), in italiano antico nota col delizioso nome di Boscoducale.

Famosa soprattutto per i natali a Hieronymus Bosch, è sede da qualche anno di un Museo del Design che ha allestito, questo autunno, una mostra controversa sul design del Terzo Reich.

Personalmente ho voluto andarci dopo averne letto in un articolo di Daria Galateria sul Venerdì di Repubblica, recuperato una delle ultime volte in cui son stato in Italia.

In Olanda l’argomento è, giustamente, delicato: accadono ancora spesso casi come questo.

L’allarme per il dilagare di populismi e nazionalismi in Europa è all’ordine del giorno, non solo in Italia e nella mia città, tra i deliri quotidiani di Salvini e la scorta a Liliana Segre.

Per questo, ho umilmente pensato, è importante poter assistere dal vivo alla testimonianza di come nasce un nazionalismo e come la propaganda dello stesso fu, appunto, disegnata e pensata: partendo dall’analisi del più atroce di tutti.

Da quando ha aperto a settembre, la mostra è stata al centro di polemiche e proteste. Per vederla bisogna prenotare con largo anticipo. I selfie e le foto dentro le sale del museo sono proibiti: il rischio di apologia di reato è dietro l’angolo.

Solo il maggiolino in entrata è fotografabile. Durante gli anni di ascesa del nazismo nomi di aziende tedesche famose ancora oggi parteciparono alla propaganda: tra gli altri, Mercedes Benz, il signor Hugo Boss, che disegnò le divise delle SS e per questo nel ’45 perse i diritti di voto, Volkswagen. Quando venne lanciato il maggiolino, i cittadini tedeschi potevano pagarlo a rate in anticipo, peccato che l’azienda non abbia fatto fede agli ordini pervenuti e che tali soldi siano finiti nelle casse dello stato che li ha usati per fare propaganda, combattere, uccidere.

La mostra non è adatta ai deboli di stomaco. Ci sono le voci dei sopravvissuti ai campi di concentramento che hanno aiutato gli storici a ricostruire come venivano progettati i  campi dell’orrore all’insegna dell’ottimizzazione.

È sicuramente affascinante, per mancanza di altra parola, scoprire come Hitler avesse dismesso, a un certo punto, il font che fino ad allora usava per i suoi manifesti, e per la copertina del Mein Kampf, dopo aver appreso che si rifaceva all’alfabeto ebraico.

Il modo in cui veniva scritto Jude (ebreo) sulla stella gialla a sei punte, appuntata sui vestiti degli ebrei, (o di altri colori, a seconda della minoranza: disabili, omosessuali, sinti, rom…) invece era una voluta presa in giro della scrittura ebraica.

Ad Amsterdam ci sono, oltre naturalmente alla casa di Anna Frank, due sinagoghe, un museo ebraico, un museo dell’Olocausto e un museo della Resistenza Olandese, dove i resistenti, gli equivalenti partigiani di qui, erano soprattutto ebrei.

La nazione non vuole, non può e non deve dimenticare.

È bene che se ne parli, ancora e tanto, anche a una cena tra amici.

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