4th OF JULY

  • Luglio 9, 2010












“Proprio oggi dovevi farlo, il trasloco? Qui oggi è come Natale!” mi ha scritto Giampaolo domenica mattina, quando ho dovuto lasciare la casa di Michael a Central Park West per trasferirimi momentaneamnte a Brooklyn da Joel (il verbo dovere è un eufemismo, perché vorrei stare in questo appartamento, dove sono rintanato da 4 giorni causa temperature equatoriali, per il resto dei miei giorni. Ma di questo parlerò più avanti. Verosimilmente tornerò a casa di Michael ad agosto – perché rimango qui fino a fine agsoto, anche di questo parlerò più avanti – in modo che tutti quegli sforzi di pubblicazione di post e cartine e acqua del cesso che tocca il culo non siano stati vaghi, per voi, soprattutto, che finalmente avevate capito dove stavo).

Così ho “traslocato” (=spostato 2 valigie – seppur pesanti – e uno zaino) da una parte all’altra della città e ho raggiunto gli altri.

“Ci sono due giorni in America in cui non ti è concesso far niente, se non sederti a tavola fino a sera e mangiare: il giorno del ringraziamento, e il 4 luglio”, mi ha spiegato poi Alessandro, siculo da vent’anni a New York, quando mi sono lamentato del fatto che avrei voluto andare a vedere i fuochi la sera sul fiume, proprio vicino al punto in cui li sparavano: “Ma tu hai già fatto il 4 luglio, è questo, è il barbecue”.

Eravamo ospiti da amici di Giampaolo, nel Queens, con l’asfalto che si scioglieva, e tutto quello che di vero, assurdo e contraddittorio c’è in questo paese riguardo alla tradizione del 4 luglio. Ed io, che ho basato la mia vita su Sentieri, in cui ogni 4 luglio i Bauer davano il loro tradizionale barbecue con piscina (=‘na pocia de do sentimetri che in qualche modo le telecamere trasformavano in una vasca olimpionica) dove ne succedevano di tutti i colori per un sacco di puntate fino a che dovevano rendersi conto che ormai era arrivato agosto, ho ritrovato: cibi di 3 colori (bianco, rosso e blu), gente vestita in coordinato, spillette a forma di bandiera (ma rigorosamente Made in China), biceri rossi (oh, pare che veramente esistano solo quelli!!!) e cibo, cibo, cibo (hot dog, hamburger, poeastro, panoce) a tutte le ore.

C’era anche zia Yetta de La Tata (non era lei, ovviamente, anche perché questa era irlandese, ma insomma una di quelle vecchiette americane che possono avere tranquillamente tra i 90 e i 110 anni) che ovviamente mi ha sgamato in pieno, come si vede, quando con nonchalance ho fatto finta che NON la stavo fotografando. (Tra l’altro la tata era di Queens, ricordate?: She was working in a bridal shop in Flushing, Queens… Ovviamente non avevo mai sentito parlare del Queens prima di allora, se non quando in I liceo avevo dovuto pronunciare quella famosa battuta di quell’arcinoto pezzo teatrale di cui ovviamente ora non ricordo il nome – Gujo aiutami tu).

Alla sera, quindi, tradizione newyorkese, i fuochi d’articicio sponsorizzati da Macy’s (come se da noi la parata militare del 2 giugno fosse offerta da La Rinascente, e nessuno avesse nulla da dire) sull’Hudson.
Come detto, avrei voluto vederli direttamente sul fiume, non tanto per dire “C’ero anch’io”, quanto perché mi avrebbe riportato a uno dei ricordi più belli che ho: un 4 luglio di tanti anni fa (1994) in caserma a Vicenza, e tutta la città distesa sul prato a naso in su a guardare i fuochi.
Quindi avrei voluto essere in mezzo alla folla per quello, ma Giampaolo, Alessandro ed Ernesto mi hanno convinto altrimenti, così siamo stati sulla terrazza di Giampaolo, che male non si stava, ma che, abbiamo scoperto poi, non era del tutto una posizione ottimale.

Comunque, tutta la città in festa, e Empire illuminato in tinta!

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Il pezzo teatrale in questione è l'immortale "Sorry, Wrong Number", di cui non ricordo l'autore – ma è dettaglio trascurabile.
Il Nostro interpretava il Tenente Duffy, ufficiale di polizia un filo saccente e spocchioso che provava a tranquillizzare un'isterica Giulia Franzina, convinta – a ragione, si scoprirà – che qualcuno la volesse fare ammazzare (suo marito), spiegandole cartina alla mano che il presunto killer che la minacciava al telefono era in realtà lontanissimo da lei – e quindi, appunto, cartellone alla mano, nominava e illustrava parti della città a iosa, Queens compreso; nella sequenza, ricordo soprattutto un baritonalissimo "Staten Island è qui…".
Tra gli altri personaggi, ricordiamo un improbabile Pier gangster ispanico, e un ancora più improbabile Baldo sicario siciliano, sgherro di Pier, che chiudeva la pièce rispondendo al telefono al posto dell'appena ammazzata Franzina dicendo: "Scusi, ha sbagliato numero" (da cui, appunto, il titolo).